giovedì 23 ottobre 2014

"Cosa può la Danza. Saggio sul Corpo", recensione del libro di Vito Di Bernardi

Pubblichiamo questa settimana una recensione del libro di Vito Di Bernardi, Cosa può la Danza. Saggio sul Corpo, scritta da Maria Rinaldi, borsista della Biblioteca dell’Accademia Nazionale di Danza. Il volume, disponibile presso la nostra Biblioteca, è stato presentato nell'ambito della rassegna Librindanza 2013 (seconda edizione) promossa dalla Biblioteca dell'AND. 

«Chi ha un corpo capace di molte cose, ha una mente la cui massima parte è eterna», è la frase con cui si apre il primo capitolo del testo Cosa può la danza. Saggio sul corpo, di Vito Di Bernardi.
Il volume offre al lettore la possibilità di immergersi in una serie di ricerche e riflessioni inerenti il senso della danza moderna e contemporanea, prendendo in esame il vero protagonista della danza: il corpo.
Partendo dalla filosofia di Baruch Spinoza sino ad arrivare al più recente Merleau Ponty, il corpo diviene un oggetto di studio importante, rivalutato per le sue capacità e possibilità, posto alla pari della mente con la quale agisce simultaneamente. 
Una democratizzazione, questa, sconvolgente se pensiamo ad un'epoca, quale il 1600 “spinoziano”, caratterizzata dal dualismo e dalla separazione tra anima e corpo. 
Viene così tracciato un ampio discorso filosofico, che giunge sino alla Fenomenologia della percezione di Ponty, il quale vede il corpo come lo strumento di apertura al mondo, attraverso una concezione che elimina la funzione passiva e subalterna del corpo e afferma l’esistenza del corpo soggetto, «il corpo come coscienza incarnata».
In questa nuova ottica la danza ha ripensato al modo di concepire il corpo danzante.
Già all’inizio del Novecento, la nuova danza tentò di allontanarsi dalla matrice del balletto classico proponendo nuove forme di movimento, libere e naturali.
La ricerca in questa direzione prende avvio dalle esperienze di Isadora Duncan fino ad arrivare alle pioniere della modern dance: Martha Graham e Doris Humprey. Uno sviluppo continuo che ci porta, attraverso Merce Cunningham, alla post-modern dance e ad uno stuolo di artisti che operarono dagli anni ’60 sino agli anni ’90 in senso radicale.
In questo arco di tempo, durante il quale è proprio il corpo ad essere l’oggetto di interesse e il protagonista assoluto della danza, il volume del Prof. Di Bernardi è di grande interesse perché focalizza l’attenzione sulla trasformazione del corpo, annoverando le esperienze di tre diversi artisti: Vaclav Fomič Nižinskij,  Erick Hawkins e Virgilio Sieni.
Nižinskij, il dio della danza, con i suoi Diari, espone il confine labile tra sanità e follia, attraverso un’esperienza di vita personale che lo condurrà alla necessità di anteporre il sentire del corpo, i suoi moti interiori e le sue manifestazioni più profonde. 
Come afferma lo stesso Di Bernardi, i Diari, pubblicati nel 1999 in versione integrale da Joan Acocella, rappresentano il manifesto di una nuova estetica della danza e del corpo danzante che il danzatore descrive attraverso la scoperta del suo vero corpo e del suo essere “corpo presente al mondo”.
Erick Hawkins, grande danzatore di Martha Graham, a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, darà vita ad una personale concezione del corpo basata sulla fisiologia del movimento. Subirà l’influenza di Mabel Todd, della filosofia zen e delle arti marziale per approdare al Teatro della Percezione
Il coreografo italiano Virgilio Sieni fonda il suo lavoro sul “sentire il corpo” e opera con un “fare danza” che oscilla tra due poli: l’interno e l’esterno, il corpo interno e invisibile e la figura del danzatore in scena.
Uno studio attento e specifico viene descritto attraverso la citazione di alcune delle sue più importanti coreografie: Kore (2012), Oro (2009), La natura delle cose (2008), Tristi Tropici (2010).
In ultima analisi è possibile approcciarsi allo studio di una forma antica di teatro indiano, il Kutiyattam.
Teatro, danza e pantomima, unica forma di teatro in lingua sanscrita giunto sino ai nostri giorni, il Kutiyattam pone il focus sull’idea del “corpo sottile”, ossia un microcosmo profondo che consente all’attore di identificarsi con altro da sé e non semplicemente con i personaggi da interpretare, ma in modo particolare con i sentimenti e gli oggetti della rappresentazione.
Non può mancare l’annovero di un grande attore, Ammannur Madhava Chakyar, capace di andare in scena svuotato di tutte le emozioni, pronto a ricevere le emozioni stesse del dramma, per riformarle a passarle al pubblico.
Un volume intenso, un saggio sul corpo che apre ampie discussioni e ci riconduce a quei segreti intrecci tra i poteri del corpo e i saperi della mente.

VITO DI BENARDI, professore associato in discipline dello Spettacolo presso la Sapienza Università di Roma, laureatosi con Ferruccio Marotti al DAMS di Bologna nel 1981 in Metodologia della critica dello spettacolo, ha conseguito nel 1989 il titolo di dottore di ricerca in Antropologia (curriculum teatrale). Dal 1991 al 1993 è stato professore a contratto di Storia del mimo e della danza al DAMS di Cosenza. Ha insegnato all’Università di Siena dal 1994 al 2012 Storia del teatro e Storia della danza. Studioso di danza moderna e contemporanea e delle relazioni tra lo spettacolo occidentale e le tradizioni performative asiatiche, ha scritto su Vaslav Nižinskij, Ram Gopal, Ruth St. Denis, Erick Hawkins, Virgilio Sieni, Ammannur Madhava Cakyar, Willi Rendra, Ragunat Manet. Si è occupato del teatro di regia europeo (Peter Brook, Peter Stein) e della tradizione dell’attore comico italiano (Angelo Musco). Da più vent’anni conduce studi e ricerche in Indonesia, Cambogia e India. Ha pubblicato, oltre a numerosi saggi, i volumi Giava-Bali. Rito e spettacolo (1986), Mahabharata. L’epica indiana e lo spettacolo di Peter Brook (1989), Teatro indonesiano (1995). È socio fondatore e attualmente vicepresidente di AIRDanza. Fa parte del comitato scientifico dell’Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati (Fondazione Cini di Venezia) dove si occupa delle iniziative legate alla didattica e alla diffusione della danza. Fa parte del comitato scientifico della rivista “Danza e ricerca” (DAMS di Bologna), e della collana “Intersezioni musicali”, Fondazione Giorgio Cini, Venezia. Presso l’Università di Siena ha fondato il LAVS (Laboratorio Audiovisivo per lo Spettacolo) e diretto una ricerca pluriennale sulle tecnologie audiovisive digitali per la documentazione dello spettacolo dal vivo. 

Maria Rinaldi è borsista presso la Biblioteca dell’Accademia Nazionale di Danza, iscritta al I anno della laurea magistrale LM-65 SPETTACOLO TEATRALE, CINEMATOGRAFICO, DIGITALE,  Sapienza Università di Roma.
La recensione del testo Cosa può la danza. Saggio sul corpo, di Vito Di Bernardi, è stata oggetto di studio per l’esame che la studentessa Maria Rinaldi ha effettuato in Storia della danza presso la Sapienza Università di Roma.

di Maria Rinaldi

lunedì 6 ottobre 2014

11 settembre: una data che la danza non dimentica…

Sono passati tredici lunghi anni e, forse, molti di noi ancora ne parlano, come un ricordo sbiadito e lontano…
Ma i figli, i genitori, le mogli, i mariti, i parenti e i newyorkesi non dimenticano le vittime perdute in un tragico incidente determinato da giochi di potere che nessuno può comprendere o spiegare.
La danza quest’anno ha reso tributo al ricordo dell’11 settembre del 2001 con una performance singolare ed affascinante. Nasce così Tribute: The Table of Silence Project (live dal Lincoln Center).
Non ci sono parole, immagini, video portatori di lacrime o sofferenza, ma solo il gesto e i corpi dei danzatori che animano e vivono lo spazio circostante creando il luogo del ricordo.
Attraverso un'atmosfera sonora, avvolgente e misteriosa, le menti degli spettatori si dirigono verso una profonda riflessione sulla vita, sul senso della storia e sul nostro essere al mondo.
Una danza tacita, coinvolgente, spaziale, narrativa, onirica che può dire qualsiasi cosa… si rivolge, indietro nel tempo, a quel giorno nel quale si sollevava un grido di dolore e di aiuto, si tuffa nel passato con la prospettiva di cambiare il futuro, si fissa nella mente di tutti per essere strumento di speranza.
In questo tributo la danza non necessita descrizioni, parla da sé, esprime il suo contenuto insito, dedica la sua magia alle vittime lontane, regala un momento di gioia… immortala l’istante del tempo. 


Invito a visionare il video e a scrivere commenti…


di Maria Rinaldi
borsista della Biblioteca


Jessica Iwanson all'Accademia Nazionale di Danza

Lunedì 6 e martedì 7 ottobre, presso l’Accademia Nazionale di Danza, JESSICA IWANSON, direttrice artistica della Iwanson Schule Zeitgenössicher Tanz di Monaco di Baviera (Germania), terrà lezioni di tecnica e coreografia in Aula Rosa, dalle ore 12.00 alle 13.30. Vi aspettiamo numerosi.
Jessica Iwanson (21 Aprile 1948, Stoccolma, Svezia) è una coreografa che da oltre 30 anni ha fortemente influenzato la storia della danza contemporanea a Monaco di Baviera. A Stoccolma, ha studiato presso l’Accademia di Stoccolma e ha incontrato insegnanti e coreografi come Birgit Cullberg, Kathrine Dunham, Walter Nicks, Warren Spears, Alvin Ailey e Martha Graham.
La Sig.ra Iwanson è una coreografa ed insegnante eccezionale ma anche una persona generosa, disponibile, affabile, dolce e appassionata della danza.
Le sue lezioni, energiche e dinamiche, mirano alla meticolosità e alla precisione del movimento e sono finalizzate a brevi sequenze coreografiche originali e divertenti.

Vale davvero la pena conoscerla …. Buona danza a tutti.

di Maria Rinaldi
borsista della Biblioteca