Pubblichiamo un testo, gentilmente inviato da Lara Borghini, docente di tecnica contemporanea presso il Liceo Coreutico "Alfano I" di Salerno, sull'Orchestica di Jia Ruskaja, sicuramente di ausilio agli studenti/studiosi dell'Accademia Nazionale di Danza, ma anche per tutti coloro che vogliono sapere qualcosa in più sulla fondatrice dell'Accademia Nazionale di Danza e sul suo sistema didattico.
L’ORCHESTICA
In Europa la danza nacque alla fine del secondo millennio avanti Cristo, precisamente in Grecia. La cultura greca operò una sintesi di quanto si era prodotto fino ad allora presso le altre civiltà conosciute: dall'Egitto all'India, alla Cina. Gli artisti greci ereditarono tecnica, stile, idee dalle altre nazioni mediterranee. Però, al di là di queste influenze, essi crearono quel canone classico, che decise il destino dell'arte occidentale, per oltre duemila anni e influenzò altresì l'arte dell'Oriente di religione buddista.
Va comunque evidenziato che la fusione inventata, prodotta dai Greci, utilizzando i vari elementi coreutici di importazione, fu caratterizzata da quel concetto di perfezione tipica della cultura ellenica. Fu così costruita una danza immediatamente in linea col supremo ideale di armonia, intesa come equilibrio permanente di spirito e corpo. Per i Greci la danza costituiva una sorta di unità lirica, assieme a musica e poesia. In base al contenuto delle varie danze, di impostazione divina e di finalizzazione ginnico-militare, gli studiosi ne hanno delineato due filoni: danza orchestica e danza palestrica.
Con il termine Orchestica gli antichi greci indicavano un'azione scenica complessa che comprendeva musica, poesia e danza; attualmente è usato come sinonimo di "arte della danza". Presso l'Accademia Nazionale di Danza italiana, che ha sede a Roma, all'epoca della direzione della sua fondatrice Jia Ruskaja (tra il 1948 e il 1970), veniva chiamata Orchestica una delle discipline di studio allora in uso, una sorta di danza libera, di ispirazione duncaniana e dalcroziana ideata dalla stessa Ruskaja, che veniva affiancata allo studio della Tecnica Accademica.
Jia Ruskaja, “Io la Russa”, giunse in Italia nel 1918 ed iniziò la sua attività di danzatrice creando un suo peculiare stile “classico” ispirato alla Grecia antica, cultura dalla quale restò profondamente affascinata. Studiò la pittura parietale greca e romana, le sculture ellenistiche del Museo Nazionale di Taranto e Siracusa. “L’amore per la danza mi ha suggerito di accostarmi a tutte le arti, cercando di intenderne il ritmo, ovvero la poesia delle forme”. Così creò l’Orchestica, sistema didattico e spettacolare, indirizzato soprattutto allo studio dell’armonia del movimento ed allo sviluppo della sua musicalità. L’opera è costituita da un susseguirsi di brevi brani, fusione di varie culture, frammenti di stati d’animo, che intendono riportare, in perfetta euritmia, i movimenti di tutti i segmenti del corpo alla spontaneità ed alla naturalezza assoluta.
L’intento è il raggiungimento della perfetta fusione psico-fisica che affina la sensibilità artistica individuale e anticipa le massime espressioni coreutiche moderne. I costumi originali, erano delle tuniche greche, in due pezzi, il primo più corto con drappeggi ed una lunga gonna, che, nel movimento, creava suggestivi effetti di integrazione con la natura. Il tutto eseguito su un palcoscenico all’aperto al soffiare del vento. Le musiche appositamente create per la coreografia erano principalmente dei pianisti di allora: Caporaloni, Mastroianni, Lana, altre erano adattamenti di alcuni brani di Brahms, Chopin, Schubert, Shuman e Rachmaninov.
La coreografia era così strutturata: una danzatrice dopo l’altra entrava con dei grandi salti “grand jetè” e muovendosi in modo circolare nello spazio, creava un disegno a semicerchio, riprendendo l’architettura di un teatro greco. I corpi assumevano una particolare posizione concava, quasi una interiorizzazione di ricerca del proprio centro fisico ed emozionale, tema molto attuale nella tecnica classica e contemporanea. Nell’esaltazione della femminilità, iniziava il secondo brano, caratterizzato dai lavori della donna in particolare il filare della lana, stilizzati magistralmente in un morbido movimento delle anche ed in una serpentina articolazione delle dita della mano. Seguiva un brano che creava le forme pittoriche degli antichi vasi greci, linee ovali, figure piatte senza profondità di immagine, con i volti rigorosamente di profilo. Nel quarto movimento le danzatrici si disponevano in file parallele, usando tutto lo spazio, in un passaggio continuo dalla tensione al rilassamento, fino ad arrivare ad un’improvvisa mancanza di energia, conclusa con una caduta finale. Seguivano suggestivi esercizi di braccia, che, nella loro apparente semplicità, racchiudevano uno studio molto approfondito di purezza di linee, dando la possibilità all’artista di esprimersi attraverso lo sguardo con tutto il corpo, rendendo unico e vero il movimento. L’integrazione con la natura era resa possibile dalla sensibilizzazione della mano che “accarezzava” l’aria, l’effetto del vento sulle tuniche e sui lunghi capelli delle danzatrici. Movimenti di isolamento della testa e del collo, con le braccia e le mani intorno ad essa, per formarne una cornice, ricordavano la cultura araba. Inoltre esercizi a terra, di contrapposizione di forze, che anticiperanno le spirali della Tecnica Contemporanea, ed a seguire brani sui vari ritmi musicali di tempo e controtempo , con battute di mano a carattere spagnoleggiante. I successivi valzer, eseguiti in cerchi concentrici, con effetti coreografici di movimenti contrapposti ,creavano una rottura con il classico, pur mantenendo salde le sue basi, come aveva fatto la Duncan. Era la volta della rappresentazione del guerriero greco romano: le danzatrici armavano il loro corpo con le braccia, raffiguranti l’elmo e lo scudo, e procedevano in una forte serpentina con salti molto incisivi.
Ritornando nel mondo femminile seguiva una “graziosa” rappresentazione della vestizione e del trucco, con vezzosi movimenti di mani che assumevano le forme dei fiori, su di un corpo morbido ed ancheggiante. La danza della liberazione delle schiave era una drammatica e forte interpretazione, ad alto contenuto artistico, che spettava , allora, solo alle 4 soliste, poste in diagonale, su musica di Rachmaninov. Il finale era la rappresentazione della speranza. I corpi così allungati erano proiettati nello spazio, con una semplice camminata, che si velocizzava con l’incalzare musicale, fino a diventare una corsa nel vento. Si integrava perfettamente con la natura e, nell’anfiteatro, creava un effetto spettacolare e suggestivo quando si avvolgeva in un disegno spirale e, come un vortice di vento, si andava a quietare fino a fermarsi completamente . Le numerose danzatrici assumevano, a quel punto, posizioni ispirate alla “figurina sottile di danzatrice”, opera nel Museo Nazionale di Taranto. Il vortice, lentamente, riprendeva la sua energia, si dipanava come una matassa e, riprendendo il suo flusso, spariva nella quinta. Attualmente l’ Orchestica è diventata materia di studio presso l’Accademia Nazionale di Danza di Roma.
Lara Borghini